
L’etica dell’errore
Errare humanum est. Un enorme insegnamento che ci ha donato Seneca, filosofo e politico romano. Forse abbiamo dato a questo assioma meno importanza di quella che merita, limitandoci a citarlo al bisogno, senza riflettere a fondo sul profondo significato che ha una simile affermazione.
In Immedya Holding consideriamo l’errore un valore, tanto da inserirlo all’interno della nostra Carta dei Valori: chi fa, chi prova, chi sperimenta, può certamente sbagliare, si espone all’errore. Ma solo cercando di spostare i limiti, innovando e rischiando, è possibile innescare un processo di vera crescita.
In questo concetto risiede la culla dell’etica dell’errore.
L’etica dell’errore come propulsore di crescita
“L’errore è una virtù che racconta l’intento di compiere un’azione volta al cambiamento e la consapevolezza di migliorare ciò che è andato storto impegnandosi al massimo”.
Una definizione che spiega semplicemente che cos’è per noi l’etica dell’errore e che la collega, senza esprimerlo, a quello che è il nostro modo di fare imprenditoria.
In un mondo in cui siamo costretti ed abituati ormai ad andare sempre di corsa, per consegnare lavori, accontentare clienti, portare a casa contratti, rischiamo di accettare un pericoloso livellamento verso il basso.
Perché?
Ammettere l’errore significa considerare uno spazio di tempo nel quale poter pensare, immaginare, fare delle prove, sbagliare, riprovare e, man mano, migliorare.
Se ci sottraiamo a questo naturale processo, chiedendo risultati immediati e zero rischi, saremo costretti a rimanere nella nostra zona di confort. Facendo solo quello che sappiamo, limitiamo sicuramente gli errori. Ma come possiamo crescere?
L’etica dell’errore orienta l’attività lavorativa in modo completamente differente.
Per etica si intende “una dottrina o indagine speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo di fronte ai due concetti del bene e del male”.
Che cos’è dunque per noi, a livello imprenditoriale, il bene?
È non commettere errori e rimanere esattamente dove siamo oppure al contrario farne, per migliorarci, creare valore, dare spinta alla creatività?
Quasi una domanda retorica, con una risposta altrettanto scontata. Che però nella pratica non lo è così spesso.
Dalla pedagogia all’imprenditoria
Non inventiamo nulla di nuovo se parliamo di etica dell’errore. Applicarla però al modo di fare impresa, è già qualcosa di più innovativo. Soprattutto se non ci si limita alle parole, ma si fa in modo di incentivare l’errore come fonte di crescita, nel lavoro di tutti i giorni.
Spesso diciamo e sentiamo dire come per essere degli imprenditori e dei professionisti virtuosi, sia necessario essere aperti alla formazione. Non necessariamente strettamente legata al proprio ambito d’opera.
Per chiarire quanto sia importante applicare l’etica dell’errore al mondo del lavoro, sfruttandola come motore propulsore di crescita, spostiamo per un attimo lo sguardo sulla pedagogia.
Di errore come possibilità, si inizia a parlare alla metà del ‘900, grazie a Popper e, in modo ancora più importante, a Perkinson che nel 1971 esce con un libro dal titolo “The possibilities of error”, dove la fallibilità viene addirittura proposta come materia di studio ed apprendimento.
Essere consapevole di poter sbagliare, secondo queste dottrine e quelle che ne derivano, aiuta l’alunno a sentirsi libero dal peso del giudizio e da eventuali conseguenze negative che dall’errore potrebbero derivare, stimolandolo ad innescare processi creativi più liberi.
Se il bambino apprende in tenera età che commettere un errore non è male, imparerà ad analizzarlo con un pensiero critico ed a risolverlo.
Proprio in questo processo di crescita sta il valore dell’errore: non qualcosa di limitativo, ma anzi, occasione di progresso.
Dalla pedagogia dell’errore dunque all’applicazione dell’etica dell’errore in azienda, il passo dovrebbe essere breve: professionisti liberi di sbagliare, capaci di correggere, creativi nel proporre soluzioni, sono una vera ricchezza per l’impresa!
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