
Il linguaggio inclusivo nelle aziende
“Le parole sono finestre (oppure muri)”
(Marshall B. Rosenberg)
Che il linguaggio sia un potentissimo veicolo con il quale si trasmettono valori, pensieri e messaggi è noto da tempo. La comunicazione ha un ruolo centrale nella quotidianità, poiché attiva i nostri pensieri e processi cognitivi. Il linguaggio esercita una funzione regolatrice e di stimolo sui meccanismi mentali che presiedono alla nascita del pensiero e al suo sviluppo che, per necessità e comodità, spesso devono essere veloci e immediati.
Per questo motivo, quando entriamo nel campo dell’inclusività, è importante tenere a mente che usare un linguaggio inclusivo non è solo uno dei modi più fedeli di rappresentare la realtà, ma permette anche di influenzarla positivamente e di coltivare la percezione di inclusione provata dalle persone.
Il concetto di inclusione per la società
Cos’è per la società odierna l’inclusione? Una risposta da vocabolario potrebbe essere: “l’atto, il fatto di includere, cioè di inserire, di comprendere in una serie, in un tutto” (Treccani).
Un’idea di inclusività in ambito sociale sarebbe quindi quella di accogliere in una comunità tutte le persone, senza discriminazione di genere, sesso, età, colore della pelle, orientamento sessuale, e così via. L’inclusione è il primo passo per il superamento di preconcetti e stereotipi, che sono oggettivamente ostacoli per la crescita e sviluppo delle società.
Un linguaggio inclusivo
Il linguaggio che include, in sintesi, è quel linguaggio che accoglie le differenze e le molteplicità, e si basa su rispetto ed empatia: non discrimina ed è accessibile (non è burocratico o settoriale).
Significa dunque fermarsi ad ascoltare categorie e comunità – le esperienze, le istanze, i problemi, i bisogni annessi – e adottare le soluzioni proposte dal punto di vista della lingua, preferendo scegliere alcune parole ed espressioni ed evitandone altre.
Il linguaggio inclusivo inoltre non fa uso di stereotipi, cliché o bias cognitivi (processi mentali del nostro cervello per semplificare la realtà) offensivi, spesso supportati da “modi di dire”.
Uso di parole inclusive
Non solo superamento di pregiudizi e modi di dire: un linguaggio che accoglie le differenze si fonda sulla lingua di chi comunica. E visto che in Italia la comunicazione inclusiva è incentrata prevalentemente in un’ottica di genere, è bene soffermarsi un attimo sull’uso di certi fonemi o declinazioni che abbraccino la diversità.
La nostra splendida lingua, l’italiano, assieme a numerose altre, è priva del genere neutro, che invece aveva il latino oppure il tedesco e l’inglese.
Come fare allora per rappresentare ad esempio le persone non binarie, che non si riconoscono nel genere maschile né nel femminile, e per superare il maschile sovraesteso? (es: se in un gruppo c’è un solo uomo, il plurale si declina al maschile)
Ci sono numerose e interessanti proposte, non ancora molto accessibili ma in rapida ascesa nell’opinione pubblica: la lettera finale u, y, x, oppure l’*, la @ o lo schwa (al singolare “ə“, al plurale “з“).
I critici di queste soluzioni sostengono che in questo modo si complica la comunicazione. Se però non ci si sofferma a comprendere il pensiero di chi non si sente rappresentato, sarà difficile arrivare ad un equilibrio tra economia linguistica e rispetto per le identità altrui.
Solo grazie all’empatia, e all’abitudine a scrivere e parlare in modo inclusivo, magari anche cominciando a insegnare nelle scuole un linguaggio inclusivo, potremo superare certe diffidenze (e differenze).
Il linguaggio inclusivo in azienda
Quando ci troviamo in un luogo di lavoro, come possiamo migrare da un linguaggio non inclusivo ad uno inclusivo, nel quale le diversità possono convivere?
Diverse aziende illuminate (insieme ad iniziative di attivismo politico e sostenibilità) stanno percorrendo questa strada per il successo: includere, usando la comunicazione e un confronto genuino senza pregiudizi, significa far sentire i dipendenti sicuri di poter esprimere il loro sé autentico e il proprio potenziale, facendo leva su sensibilità e rispetto.
Questo favorisce lo sviluppo della “sicurezza psicologica” all’interno di un’azienda: la sensazione di poter esprimere le proprie idee, il proprio talento e il proprio potenziale in tranquillità e serenità mentale.
Laddove l’organizzazione crea un ambiente di lavoro sicuro, privo di paure anche nelle relazioni tra team e colleghi, si generano benefici in termini di consapevolezza e sviluppo di linguaggio inclusivo che, a loro volta, favoriscono rispetto, innovazione e crescita.
Da dove possiamo cominciare quando parliamo di linguaggio inclusivo in ambito lavorativo e professionale?
Un punto di partenza per l’inclusività in azienda
Ad esempio, un punto di partenza per lo sviluppo aziendale attraverso il linguaggio inclusivo è l’uso dei femminili professionali: la declinazione al femminile di nomi di mestieri e di cariche – soprattutto se di prestigio.
Sindaca, medica, ingegnera, chimica, matematica, architetta, questora, direttrice, procuratrice, notaia, rettrice, avvocata, prefetta, magistrata, ministra, pretora, assessora, arbitra, chirurga, cavaliera: sono tutti nomi esistenti. Perché non utilizzarli?
È un dibattito iniziato sin dagli anni ’80, fino ad arrivare alle tesi di Vera Gheno, sociolinguista e autrice di numerosi libri (qui un suo magnifico articolo sull’inclusività).
Se il nome professionale al femminile esiste in italiano, è corretto (e giusto) utilizzarlo. Se una donna, al contrario, preferisce chiamare il suo lavoro con una carica al maschile la sua scelta va rispettata, ma bisognerebbe domandarle perché, e valutarne le motivazioni.
Inoltre, non nominando una professione al femminile quando è possibile crea una certa confusione. Se dico “l’ingegner Rossi”, non sapremo mai se sto parlando di un uomo o una donna.
La parola è potente: descrive, identifica, include, oppure svaluta, offende, discrimina, confonde, rafforza pregiudizi.
L’impegno di alcune aziende per l’inclusività
Comunicare con attenzione all’inclusività significa essere persone rispettose o aziende sensibili a rappresentare tutte le differenze che fanno parte della società, di conseguenza anche della clientela.
E diverse aziende lo stanno già facendo:
- l’Agenzia delle Entrate nel 2020 si è dotata di “Linee guida per l’uso di un linguaggio rispettoso delle differenze di genere”;
- Nel 2018 il Miur-Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha emanato le “Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo del Miur”;
- WPP Italia ha creato la Diversity & Inclusion Board, una delle diverse iniziative dell’azienda per dare vita ad un nuovo linguaggio della diversità e dell’inclusione.
Fortunatamente quindi, qualcosa sta cambiando. La lingua siamo tutti noi, e le aziende sono le persone. Il progresso passa inevitabilmente dalle persone, e dall’uso che facciamo degli strumenti a noi più vicini.
Un linguaggio migliore rende le persone migliori e, di conseguenza, aziende migliori.
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