
Digital detox, la tecnologia secondo natura
La tecnologia, da grande progresso della nostra era, sta impattando massivamente nel nostro quotidiano, con risvolti non sempre positivi.
Qual è la prima cosa che fai al mattino?
Forse ti stiri, magari vai in bagno o accendi la macchina del caffè, molto probabilmente apri lo smartphone e scorri le bacheche social o gli alert che ti compaiono.
Il nostro essere costantemente connessi sicuramente offre grandissime spinte professionali e personali. Ma ha ricadute sulle relazioni umane. La nostra capacità di essere protagonisti e non spettatori di quello che ci circonda.
Ed è assurdo pensare che, ad un certo punto, email, notifiche social, dirette Instagram o altro diventino il cuore delle nostre giornate.
Con questo approfondimento vogliamo parlare di Digital Detox.
Lo facciamo perché come holding della comunicazione, il digital fa parte, pervade e talvolta invade le nostre giornate e sentiamo la responsabilità del valore dell’offline. Che non vuol dire certo tornare ad un mondo senza tecnologia, ma ad un quotidiano in cui il digitale sia una risorsa e non un mezzo di dipendenza.
Digital detox, che cos’è e perché è necessario
Quello che accade alle persone che diventano, loro malgrado, dipendenti dal digital è di essere vittime di una sorta di scollamento tra universo reale e virtuale, in base al quale quest’ultimo assorbe il 90% del loro tempo.
Ad accusare il colpo sono rapporti interpersonali, rendimento lavorativo, tutta la sfera degli interessi, che si riducono allo scroll di un social o della email.
Si parla di un vero e proprio disturbo della personalità, per il quale negli Stati Uniti d’America è stato coniato il termine Internet Addiction Disorder.
La Treccani definisce la IAD “una dipendenza totale, poiché all’utente rimane soltanto la possibilità di togliere la connessione: una volta messa in atto, tale possibilità può dar luogo a sensazioni di solitudine, di abbandono, di ‛inesistenza’, vale a dire a una serie di sintomi che sono in tutto e per tutto quelli dell’astinenza”.
Prendere atto dell’esistenza di questo disturbo, ci porta a riflettere sull’enorme potenza degli strumenti digitali, diventati delle vere e proprie estensioni del nostro corpo e della nostra personalità.
Citando Einstein “Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità”: nostro compito è fare in modo che ciò non accada e che le innovazioni siano davvero motivo di progresso.
Digital detox significa consapevolezza. Uso intelligente.
Vuol dire sedersi a tavola e conversare con chi si ha di fronte, non solo guardare l’ultima notifica ricevuta sul cellulare.
Vuol dire godersi le esperienze che si stanno facendo, non solo attraverso l’apprezzamento altrui. E quindi degustare un cibo, non solo fotografare l’impiattamento, apprezzare un tramonto, non solo mostrarlo. Condividere sì, ma anche e soprattutto sostituire gli schermi con i nostri occhi, gli altoparlanti con le nostre orecchie.
Per chi come noi lavora a stretto contatto con la tecnologia, un uso consapevole del digitale e dell’online si traduce anche nella capacità di ascoltare e raccontare.
Ascoltare il cliente, la sua storia, quello che vuole trasmettere. Imparare dalla sua esperienza. Tradurre in parole, immagini, video, adatti a linguaggi digitali il valore di cui si fa interprete e che vogliamo tradurre e comunicare.
Digital detox, il valore di mettersi offline
Ogni tanto, perché no, si può anche riscoprire il valore di mettersi offline. Per dedicarsi completamente ad attività non legate alla tecnologia.
Per riscoprire il senso, la nostra manualità e creatività, il valore dei rapporti, la capacità della memoria, la fantasia, le suggestioni tattili.
Quello che ne verrà fuori, non potrà che farci stare bene e generare suggestioni nuove. Magari da condividere e comunicare.
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